Ancora più difficile sarà rintracciare la responsabilità , perché per le imprese milanesi questa si muove lungo la filiera e quindi non va riferita soltanto a chi viola le norme e sfrutta la forza lavoro, ma si espande anche a chi, di fatto, la utilizza. Un’applicazione pratica di quel principio introdotto nell’autotrasporto con il decreto legislativo 286/2005, mai sufficientemente applicato nei fatti. Qui, invece, i beneficiari finali del malaffare non soltanto hanno subito il sequestro preventivo di beni per compensare le contribuzioni evase, ma sono stati indotti ad assumere quelle 14 mila persone, apparse all’improvviso nelle statistiche.
Tutta questa vicenda, a maggior ragione se osservata a posteriori, suscita diverse riflessioni. La prima è generata dalla reiterazione del modello: lo schema taglia-costi a cui tutte le società ricorrono è sempre il medesimo. Questo potrebbe indurre, soprattutto chi osserverà il fenomeno con distanza temporale, a pensare che la logistica nei primi decenni del Duemila sia stata un settore incapace di creare marginalità e che quindi fosse costretto, pur di sopravvivere, a sotterfugi di varia illegalità . L’indizio principe per provare tale deficit va ricercato nelle dimensioni delle imprese, perché se a essere costrette agli espedienti ricordati erano realtà di grosso calibro, già avvantaggiate nei fatti dall’opportunità di stabilire relazioni privilegiate con la committenza e dal poter acquistare strumenti di lavoro a condizioni ottimali, non si capisce come potessero sopravvivere società prive di tali benefici e costrette – tanto per fare un esempio – a pagare un camion il 20-30 per cento in più.
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